Voglio sollevare un velo.
Voglio raccontare in breve una storia triste, sotto gli occhi di tutti da fin troppi anni.
E lo farò partendo da una domanda:
perché il caffè-filtro è il metodo di preparazione del caffè più usato al mondo?
Facilità d’uso. Costo dei materiali. Resa gustativa in tazza.
Perché il caffè-filtro è il metodo di preparazione del caffè più usato al mondo.. tranne che in Italia?
Partiamo con un po’ di storia…
Nel 1884 Angelo Moriondo (link)
presenta all’esposizione di Torino (link)
la sua invenzione : una grande macchina da caffè a pressione di vapore capace di produrre centinaia di caffè all’ora.
Già Loysel nel 1861 aveva tentato la strada della produzione di caffè di massa con il suo enorme e certamente meno pratico percolatore idrostatico.
La differenza nella macchina di Moriondo stava tutta nella spinta del vapore in pressione (circa 1,5 bar) che conferiva al caffè un gusto decisamente nuovo: il sapore amaro e bruciato.
Era nato il caffè Espresso.
Questa invenzione rivoluzionaria in realtà rimase relegata in Piemonte per circa 20 anni, fino all’avvento delle macchine a colonna della Bezzera,
seguite dalle Pavoni
e dalle Victoria Arduino (e molte altre ancora).
Nel frattempo buona parte della popolazione maschile italiana scopriva le virtù corroboranti della nera bevanda durante la Prima Guerra Mondiale.
Lentamente, inesorabilmente, le terribili macchine Espresso a vapore si diffusero in tutta Italia, seguendo la colonizzazione coatta messa in atto dai Piemontesi nelle maggiori città italiane per l’unificazione di regioni e città che nulla avevano in comune tra di loro. Nemmeno la lingua parlata.
Il Fascismo
ed il Futurismo
diedero poi un’ulteriore spinta ideologica al consumo “maschio” dell’italica nerissima bevanda.
L’espresso era Veloce! L’espresso era Forte! L’espresso dava Energia!
"Sorseggiato al volo a 99 °C dal fascista perfetto
non faceva perdere tempo a bighellonare al bar come invece capitava a quei pederasti intellettuali che rovinavano il futuro del Regno e delle sue fulgide Colonie con discorsi politici devianti dal sentiero tracciato dal Duce."
E nel Ventennio (link)
vennero create repliche casalinghe, la maggior parte accompagnate dalla magica parola evocatrice “Espresso, Espress, Express, Espres) che di fatto permettevano di bere a casa “un caffè come al bar”.
Stesso gusto. Bruciato. Amarissimo.
Le più eleganti (e care) erano macchine elettriche in ottone nichelato e successivamente cromato, altre erano in rame e ottone con alimentazione ad alcool, mentre le più diffuse furono le macchine in alluminio inscatolato oppure fuse in conchiglia (ben più rare).
Il colpo di grazia all’italico palato furono le sanzioni della Società delle Nazioni che portarono al blocco delle importazioni ed alla conseguente Autarchia.
I surrogati del caffè
si diffusero rapidamente divenendo parte integrante dello scarso caffè in circolazione.
Orzo e Cicoria abbrustoliti pronti per essere miscelati donavano ulteriore gusto oleoso più simile al petrolio che al vero caffè.
La stessa icona del Sud Italia, la caffettiera Napoletana,
(che di fatto è una macchina a filtro ribaltabile) fu violentata ripetutamente spingendo l’utente (furbescamente) ad utilizzare caffè di bassa qualità tostato fino alla completa carbonizzazione per avere “lo stesso aroma (di bruciato) del bar”.
Terminata la Seconda Guerra Mondiale comparve quasi timidamente la Moka Espress,
divenuta entro un anno Moka Express, prodotta dalla piccola officina Bialetti di Crusinallo.
Nelle prime pubblicità la Bialetti decantava la possibilità di bere un caffè “come al bar”.
Infatti il famoso borbottìo che ogni italiano ama altro non è che il passaggio a 120 °C circa di vapore attraverso il caffè macinato.
Esattamente come al bar nel 1946...
Vapore che brucia e rovina gli aromi del caffè.. Li estrae e profuma tutta la casa.
Profumi deliziosi che purtroppo non finiscono in tazza.
Milioni di moke prodotte, senza contare i cloni e le centinaia di piccoli e medi produttori che si accodarono alla Bialetti.
Probabilmente il 90% o più delle famiglie italiane possedeva una moka nel periodo tra gli anni ’50 e ’90.
Quattro generazioni di Italiani si trovarono a credere che il gusto del buon caffè era esclusivamente quello prodotto attraverso la spinta del vapore.
Nel 1946 l’evoluzione delle macchine da bar creò un trauma ed una separazione mentale: ecco che il caffè si divise tra “bar” e “casa”.
Il gusto era completamente diverso se estratto con i fatidici 9 bar e 93°C (circa).
Aromi, corpo, crema spessa e persistente. La “macchinetta” non dava niente di tutto questo.
Certamente ci furono svariati tentativi per portare la “crema caffè” a casa
ma i costi per l’acquisto di una buona macchina e il relativo macinacaffè non erano alla portata di tutti. E ci voleva anche una buona manualità.
Poi dagli anni ’90 in poi la Nespresso e tutti i cloni a seguire fecero pagare a carissimo prezzo la comodità delle capsule e la loro facilità d’uso.
E il caffè filtro in Italia? Per anni reietto, definito “brodaglia”, con poco gusto (ovviamente mancava l’amaro estremo ed il retrogusto di carbon coke) venne etichettato come caffè all’americana o alla tedesca, quindi “estero”.
Ma se volete sorseggiare un Sidamo o un Colombiano provando brividi di piacere io vi consiglio il caffè filtro al 100%.
E’ possibile rieducare il palato? Certamente si.
E’ possibile rieducare la mente?
Le Credenze Limitanti? Si, ma con molte difficoltà.
L’ottusità dell’Italiano medio in tema di caffè è costante motivo d’imbarazzo tra gli addetti del settore che lavorano con prodotti di qualità.
Il caffè migliore al mondo si beve in Italia.
Il caffè migliore d'Italia si beve a Napoli.
Noi italiani abbiamo una Cultura del caffè.
Mi spiace ma non è così.
Voglio raccontare in breve una storia triste, sotto gli occhi di tutti da fin troppi anni.
E lo farò partendo da una domanda:
perché il caffè-filtro è il metodo di preparazione del caffè più usato al mondo?
Facilità d’uso. Costo dei materiali. Resa gustativa in tazza.
Perché il caffè-filtro è il metodo di preparazione del caffè più usato al mondo.. tranne che in Italia?
Partiamo con un po’ di storia…
Nel 1884 Angelo Moriondo (link)
presenta all’esposizione di Torino (link)
la sua invenzione : una grande macchina da caffè a pressione di vapore capace di produrre centinaia di caffè all’ora.
Già Loysel nel 1861 aveva tentato la strada della produzione di caffè di massa con il suo enorme e certamente meno pratico percolatore idrostatico.
La differenza nella macchina di Moriondo stava tutta nella spinta del vapore in pressione (circa 1,5 bar) che conferiva al caffè un gusto decisamente nuovo: il sapore amaro e bruciato.
Era nato il caffè Espresso.
Questa invenzione rivoluzionaria in realtà rimase relegata in Piemonte per circa 20 anni, fino all’avvento delle macchine a colonna della Bezzera,
seguite dalle Pavoni
e dalle Victoria Arduino (e molte altre ancora).
Nel frattempo buona parte della popolazione maschile italiana scopriva le virtù corroboranti della nera bevanda durante la Prima Guerra Mondiale.
Lentamente, inesorabilmente, le terribili macchine Espresso a vapore si diffusero in tutta Italia, seguendo la colonizzazione coatta messa in atto dai Piemontesi nelle maggiori città italiane per l’unificazione di regioni e città che nulla avevano in comune tra di loro. Nemmeno la lingua parlata.
Il Fascismo
ed il Futurismo
diedero poi un’ulteriore spinta ideologica al consumo “maschio” dell’italica nerissima bevanda.
L’espresso era Veloce! L’espresso era Forte! L’espresso dava Energia!
"Sorseggiato al volo a 99 °C dal fascista perfetto
non faceva perdere tempo a bighellonare al bar come invece capitava a quei pederasti intellettuali che rovinavano il futuro del Regno e delle sue fulgide Colonie con discorsi politici devianti dal sentiero tracciato dal Duce."
E nel Ventennio (link)
vennero create repliche casalinghe, la maggior parte accompagnate dalla magica parola evocatrice “Espresso, Espress, Express, Espres) che di fatto permettevano di bere a casa “un caffè come al bar”.
Stesso gusto. Bruciato. Amarissimo.
Le più eleganti (e care) erano macchine elettriche in ottone nichelato e successivamente cromato, altre erano in rame e ottone con alimentazione ad alcool, mentre le più diffuse furono le macchine in alluminio inscatolato oppure fuse in conchiglia (ben più rare).
Il colpo di grazia all’italico palato furono le sanzioni della Società delle Nazioni che portarono al blocco delle importazioni ed alla conseguente Autarchia.
I surrogati del caffè
si diffusero rapidamente divenendo parte integrante dello scarso caffè in circolazione.
Orzo e Cicoria abbrustoliti pronti per essere miscelati donavano ulteriore gusto oleoso più simile al petrolio che al vero caffè.
La stessa icona del Sud Italia, la caffettiera Napoletana,
(che di fatto è una macchina a filtro ribaltabile) fu violentata ripetutamente spingendo l’utente (furbescamente) ad utilizzare caffè di bassa qualità tostato fino alla completa carbonizzazione per avere “lo stesso aroma (di bruciato) del bar”.
Terminata la Seconda Guerra Mondiale comparve quasi timidamente la Moka Espress,
divenuta entro un anno Moka Express, prodotta dalla piccola officina Bialetti di Crusinallo.
Nelle prime pubblicità la Bialetti decantava la possibilità di bere un caffè “come al bar”.
Infatti il famoso borbottìo che ogni italiano ama altro non è che il passaggio a 120 °C circa di vapore attraverso il caffè macinato.
Esattamente come al bar nel 1946...
Vapore che brucia e rovina gli aromi del caffè.. Li estrae e profuma tutta la casa.
Profumi deliziosi che purtroppo non finiscono in tazza.
Milioni di moke prodotte, senza contare i cloni e le centinaia di piccoli e medi produttori che si accodarono alla Bialetti.
Probabilmente il 90% o più delle famiglie italiane possedeva una moka nel periodo tra gli anni ’50 e ’90.
Quattro generazioni di Italiani si trovarono a credere che il gusto del buon caffè era esclusivamente quello prodotto attraverso la spinta del vapore.
Nel 1946 l’evoluzione delle macchine da bar creò un trauma ed una separazione mentale: ecco che il caffè si divise tra “bar” e “casa”.
Il gusto era completamente diverso se estratto con i fatidici 9 bar e 93°C (circa).
Aromi, corpo, crema spessa e persistente. La “macchinetta” non dava niente di tutto questo.
Certamente ci furono svariati tentativi per portare la “crema caffè” a casa
ma i costi per l’acquisto di una buona macchina e il relativo macinacaffè non erano alla portata di tutti. E ci voleva anche una buona manualità.
Poi dagli anni ’90 in poi la Nespresso e tutti i cloni a seguire fecero pagare a carissimo prezzo la comodità delle capsule e la loro facilità d’uso.
E il caffè filtro in Italia? Per anni reietto, definito “brodaglia”, con poco gusto (ovviamente mancava l’amaro estremo ed il retrogusto di carbon coke) venne etichettato come caffè all’americana o alla tedesca, quindi “estero”.
Ma se volete sorseggiare un Sidamo o un Colombiano provando brividi di piacere io vi consiglio il caffè filtro al 100%.
E’ possibile rieducare il palato? Certamente si.
E’ possibile rieducare la mente?
Le Credenze Limitanti? Si, ma con molte difficoltà.
L’ottusità dell’Italiano medio in tema di caffè è costante motivo d’imbarazzo tra gli addetti del settore che lavorano con prodotti di qualità.
Il caffè migliore al mondo si beve in Italia.
Il caffè migliore d'Italia si beve a Napoli.
Noi italiani abbiamo una Cultura del caffè.
Mi spiace ma non è così.
Quindi pare che in montagna, diciamo a 2.000 metri, dove l'acqua bolle a 93°C, il caffè sia più buono.
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