lunedì 24 ottobre 2022

La caffettiera più rara ?





rarità s. f. [dal lat. rarĭtas -atis, der. di rarus «raro»]. Oggetto (soprattutto d’arte o da collezione) raro, difficile a trovarsi in quanto ne esiste o ne è disponibile solo un numero limitato di esemplari. (Enc.Treccani)



Negli ultimi 14 anni ho utilizzato spesso a sproposito questo termine e me ne dolgo. Ho avuto modo di ascoltare colleghi collezionisti e presunti esperti dichiarare rari o rarissimi oggetti che nel tempo si rivelavano abbastanza semplici da reperire.

Bastava cercare meglio, cercare con altre parole chiave, cercare in altre Regioni o Stati oppure attendere con pazienza…

Di norma la difficoltà a reperire un oggetto parte dalla scarsità di informazioni a suo riguardo. O peggio ancora dall’inconsapevolezza della sua esistenza. Se vogliamo credere alla “legge dell’attrazione” (https://www.meditazionezen.it/legge-di-attrazione/#:~:text=La%20Legge%20di%20Attrazione%20%C3%A8,la%20forza%20dei%20nostri%20pensieri.) come possiamo desiderare o “attirare” un oggetto se non lo riusciamo nemmeno a immaginare?

Per questo motivo, su richiesta della scopritrice L.B. , oggi voglio permettervi di immaginare, di farvi sognare, desiderare e condividere con voi appassionati una vera rarità. Una caffettiera che tutti i collezionisti vorrebbero poter esporre in una vetrinetta e cercano disperatamente in ogni cesta stracolma di similari ai mercatini.

Ma in questo caso raro ben si accompagna a unico (almeno per ora).

Più avanti capiremo assieme in cosa consiste questa unicità.

Inoltre, su questa caffettiera, o macchinetta del caffè che dir si voglia dovrei aprire una serie di considerazioni che non affronto qui per rispetto ad un libro che sarà pubblicato a breve a riguardo: sappi
ate solo che essa racchiude ancora segreti e bugie e misteri degni di un romanzo di Raymond Chandler.

Mi ritengo fortunato ed onorato di aver potuto pulire e restaurare questa caffettiera. Sappiate che l’ho fatto con religiosità e passione, andando ad osservare e poi fotografare con cura ogni minimo particolare. Ho cercato di capirne le difficoltà di realizzazione in una buia e sporchissima fonderia della fine degli anni 30.



Stiamo parlando quindi di un “recipiente a superficie sfaccettata specialmente adatto per preparare e servire il caffè” rivoluzionario in quegli anni. Quando tutte le caffettiere in alluminio di quell’epoca venivano ricavate per stampaggio tramite pressa, questa fu (presumibilmente) la prima realizzata per fusione. Tale soluzione rendeva la macchina più robusta e duratura e impediva alla caldaia di gonfiarsi “a palloncino”.





L’accoppiamento a vite tra caldaia e bricco superiore era già stato brevettato e commercializzato precedentemente da Giovanni Vecchio di Milano (brevetto 309250 del 17/09/1932 per un apparecchio servente alla preparazione della bevanda di caffè ed altre infusioni) quindi non era una novità. Per maggiori informazioni: https://caffettiere.blogspot.com/2019/04/dubbi-amletici-riguardo-la-caffettiera.html

 







Bando alle ciance ed iniziamo a vedere di cosa

stiamo parlando.





I più esperti diranno: “ah, la prima moka”.






I super esperti diranno: “ah la prima moka.. no

aspetta: c’è qualcosa di diverso!”



Due o tre persone diranno: “oh oh oh!!!”

Molti si saranno chiesti le mie stesse domande:

ma da dove arriva questa forma così

complessa? Quale è stata l’evoluzione per

arrivare ad un modello industriale così

spigoloso? Ma soprattutto: perché se ne

trovano talmente poche? Provo a dare una

spiegazione..



Tecnicamente la difficoltà più grossa all’epoca

era la costruzione di uno stampo apposito, la

“conchiglia” di ghisa. In questo caso specifico

doveva essere ancora più complesso perché la

caldaia, come ben vedete, si allarga per poi

restringersi nuovamente. Il costo di tale

stampo era elevato e necessitava di grande

maestria per realizzarlo. Poche fonderie erano

strutturate in tal senso. Pochissime.



La forma a spigoli secondo me prende spunto

dalla celeberrima serie Alessi Ottagonale del

1935, anch’essa ispirata dalle forme dei

tavolini da caffè che spopolavano nelle case della ricca borghesia  https://alessi.com/collections/carlo-alessi 



Nella foto qui sotto potete notare la medesima conformazione della base che va a stringere.





Un piccolo dubbio quindi mi assale: chi copiò

chi? A chi vogliamo credere?



Il “quando” non è così marginale. Perché spiegherebbe la quantità esigua di pezzi prodotti. Proviamo ad immaginare per ipotesi di avere in mano un design vincente datato 1935 (o più verosimilmente 1937)   (vedi: https://caffettiere.blogspot.com/search?q=renato+bialetti) , ma di non avere i fondi necessari per poterlo realizzare.

Cosa si sarebbe potuto fare? Attendere.

Mesi, anni, e poi, finalmente, ecco realizzato il sogno! Una produzione che se per quanto spinta non poteva superare i 10 pezzi al giorno utilizzando un unico stampo a rotazione (sempre secondo me!).


Magari dopo 3 anni? Magari pochi mesi prima
del 10 Giugno 1940?

Il giorno delle decisioni irrevocabili?

Si spiegherebbe in tal senso la difficoltà estrema di reperimento: una scarsa, scarsissima produzione (altamente improbabili i 70.000 pezzi dichiarati da Renato Bialetti nel 1967) a fronte di circa 8 pezzi attualmente sparsi tra varie collezioni europee (più uno in Giappone). Vedi i miei personali dubbi amletici del 2019 a riguardo: http://caffettiere.blogspot.com/2019/02/dubbi-amletici-riguardo-la-caffettiera.html





La caffettiera oggetto di queste mie

considerazioni rappresenta oggi una novità: la

famosa “unicità”. Rispetto alle pochissime

macchine attualmente conosciute con

capienza di tre tazze, questa è da sei tazze.

Quindi gli stampi erano almeno due!



(a destra la moka da tre tazze del 1949, si nota la differenza di altezza)





Altro aspetto che rende incredibilmente

interessante questa caffettiera è, che per l

a prima volta, ho avuto la gioia di toccare con

mano il filtro, il controfiltro e l’imbuto,

originali e coevi.




Nelle altre macchine già pubblicate in questo

blog, purtroppo, i filtri erano stati sostituiti

con altri ben più moderni.




L’irregolarità dei fori mi fa pensare ad una

sorta di pressa multi punte oppure addirittura

alla loro realizzazione “uno ad uno” mediante

maschera e trapano.



Filtro e controfiltro furono realizzati secondo

gli standard “poveri” dell’epoca, quindi in

lastra di ferro nickelata. Le caffettiere di

buona qualità invece erano dotate di filtri in

ottone nickelato. La differenza al palato è

sostanziale.





Per quanto riguarda l’imbuto invece ci troviamo davanti ad un oggetto tornito in lastra; per i meno esperti consiglio di cliccare sulla spiegazione di Wikipedia per una spiegazione: Tornitura in lastra: https://it.wikipedia.org/wiki/Tornitura_in_lastra

Si possono ben vedere le rigature lasciate

dall’attrezzo in legno necessario a modellarne

la forma attorno allo stampo.

Il camino non sembra avvitato come in altre

caffettiere simili ma semplicemente

accoppiato con interferenza, frutto di grande

abilità e precisione.


La parte terminale del camino è conformata a

forma di semicalotta leggermente ovoidale,  

 

              provvista di quattro fori di uscita sistemati a

croce. Si vedono le tracce della lavorazione,

sicuramente realizzata al tornio anch’essa.



Il tappo mantiene la forma ottagonale mentre

il pomello di legno, dipinto di nero, replica un

esagono.










Il tappo è provvisto di una costa circolare che

ne permette l’alloggiamento stabile sopra al

bricco di raccolta e inoltre presenta, sui due

lati contrapposti e ortogonali al beccuccio di

uscita, due “bastoncini” che ne bloccano la

rotazione.



La conformazione dello smusso del tappo

presenta due tratti paralleli verso l’esterno

mentre al centro la forma semicircolare

sembra sia stata lavorata con una lima

semitonda.



Il manico di questa sei tazze rappresenta un'evoluzione rispetto a quello della tre tazze (vedi: https://caffettiere.blogspot.com/search?q=prima+moka&updated-max=2019-09-07T12:05:00%2B01:00&max-results=20&start=3&by-date=false) : il micro manico in legno certamente molto elegante era in effetti privo di una qualsiasi logica o praticità. L’ustione delle nocche prendendo il manico con tre dita era una certezza ad ogni versata di caffè.

In questo caso il manico, avvitato al corpo del

bricco, aumenta di dimensioni e le due

scanalature permettono di pinzare con

maggiore efficacia la caffettiera (che ricordo

nuovamente è di capienza doppia, quindi

maggior peso e maggiore altezza).




L’interno della caldaia reca traccia dello

stampo: "Quanto darei per poterne vedere uno

dal vivo!"



La “macchinetta del caffè” vi saluta! Attendiamo ovviamente nuove scoperte nel prossimo futuro. 😉

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